Æffetti personali | “Andrà tutto bene”. Contro la grammatica del Sé

Evitare le emozioni negative non ci proteggerà: il presente fa paura ed è difficile da accettare.

“Andrà tutto bene”.
In questo slogan si racchiude l’atteggiamento ostentato durante l’emergenza sanitaria da Covid-19. Lo definisco slogan perché possiede tutte le caratteristiche della propaganda ammaliante, tipica della politica e della pubblicità.

Eppure, se provassimo ad adottare una posizione mindful, faremmo una scoperta onesta – seppur mesta: non basta dirlo o ripeterselo come un mantra per cucirselo addosso e trasformarlo davvero nel nostro stato d’animo. Per alcuni, anzi, potrebbe risultare una sensazione amaramente posticcia e insoddisfacente.

Andrà. Voce del verbo andare, prima coniugazione, modo indicativo, tempo futuro semplice, terza persona singolare.
Tutto. TUTTO: intero.
Bene. Avverbio che significa “in modo buono, retto, giusto” oppure, come sostantivo maschile singolare, “ciò che è buono in sé, cioè perfetto nella compiutezza”, secondo il Vocabolario Treccani.

Ma… andrà? Tutto? Bene?
Forse “andrà tutto bene” è una frase imprecisa, ingannevole, perfino ingiusta.

Non sappiamo come andrà, né cosa andrà. E da un punto di vista psicologico, affermare il contrario non è utile, né onesto – per quanto possa essere comprensibile. Parlare o pensare al futuro (o al passato) ha spesso una funzione adattiva: evitare il presente. A volte, è proprio perché nel presente c’è qualcosa di difficile da affrontare che ci rifugiamo nei ricordi o proiettiamo immagini rassicuranti nel futuro.

Forse potremmo provare a declinare quella frase al presente e vedere che effetto fa.
Tra gli estremi di “va” e “non va” esistono molte sfumature. Quel “tutto” potrebbe rivelarsi ingannevole: tutto cosa, esattamente? E quel bene potrebbe non adattarsi a ciò che stiamo vivendo. Bene in che senso?

Come mi sento davvero?
Forse c’è qualcosa che va bene, qualcosa di confortante: posso comunicare con i miei cari anche durante la quarantena, grazie al telefono, alle videochiamate, alle chat.
E forse c’è qualcosa che non va bene: i reparti di terapia intensiva, la preoccupazione costante per la salute, l’isolamento, il lockdown.
In quel “tutto”, insomma, convivono tante realtà diverse.

Che significa “bene” per te?

Forse dobbiamo fare attenzione a non lasciarci travolgere dagli slogan, da una positività forzata e totalizzante. Anche la positività, quando praticata in questo modo, può diventare una prigione – più della casa in cui siamo costretti a restare per proteggerci.
“Andrà tutto bene” rischia di diventare una pretesa sproporzionata, che non lascia spazio all’integrità di cui abbiamo bisogno. Un’integrità che comprende anche un presente incerto, ma reale, che ci restituisce umanità.

Se non sto in contatto con ciò che realmente mi turba, se non ammetto la difficoltà del luogo in cui mi trovo, come posso sentire davvero quella spinta, quella speranza necessaria per uscirne?

Ogni stato d’animo è legittimo. Solo riconoscendolo nei suoi chiaroscuri possiamo davvero provare speranza – quella cosa con le piume.

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