
Lo spirito del tempo, per chi è cresciuto tra la fine del Novecento e l’inizio del nuovo millennio, è intriso di contraddizioni, sospensioni e tensioni irrisolte. Guardare ai millennial oggi significa attraversare un paesaggio emotivo e sociale complesso, fatto di precarietà diffusa ma anche di una nuova coscienza collettiva.
Lo spirito del tempo millennial è un mondo gravido di mancanze e paradossi. Da un lato è caratterizzato da una condizione miserabile, per usare una parola mesta ma eloquente. Questo significa precarietà a 360° che può costellare uno stakanovismo inconscio usurante, un lavoro instabile oppure più lavori contemporaneamente per arrivare alla fine del mese; significa anche l’adultità posticipata, relazioni che risentono della mancanza di sicurezza e una pericolosa time poverty. Stephen Dark in un suo articolo su The Fifth Estate usa il termine “neo-miserabilism” per indicare quell’oscura sensazione che le cose non stiano andando per il verso giusto.
Dall’altro lato, l’aria che tira è fortemente connotata dalla sensibilità per le questioni della sostenibilità. Il millennial si interessa, si attiva e divulga valori per un mondo migliore e sostiene chi aspira agli stessi valori (ben lontani da quelli delle istituzioni tradizionali). Lo zeitgeist millennial vede in figura l’apprensione ecologica e l’attenzione ai diritti umani, in primis l’uguaglianza e il rispetto.
In una situazione così precaria, in cui spesso manca la terra sotto i piedi, come possiamo pensare di continuare a sognare? Il rischio è cadere tra le nuvole: abituarsi all’instabilità, trovare ristoro in un mondo di fantasia oppure il sacrosanto binge watching.
Come se non bastasse è arrivato il Coronavirus nell’aria, a “infettare lo Zeitgeist”, come dice Brian Fitzgerald su Medium, dove parla anche dei Myth Gaps ovvero “momenti in cui una vecchia storia, che si tratti degli dei greci o del sogno americano, smette di avere senso come spiegazione del mondo”. E continua (citando tra le righe Kate Raworth):
“C’è una vecchia storia qui che sta morendo. Quella che dice che possiamo continuare a fare come abbiamo sempre fatto. Che la scienza fa paura sì, ma l’importante è l’economia. Che «il gioco è ancora Monopoly». Non è così. Il gioco è Pandemic e le abilità di gioco di cui abbiamo bisogno per sopravvivere sono l’empatia, il comunismo, l’azione personale combinata con la responsabilità civica e la volontà di raccontare e agire in base alla verità“.
Il clima generazionale dei millennial non è semplice da decifrare: sospeso tra disillusione e speranza, non trova affidabili (comprensibilmente) le narrazioni passate e fatica a elaborarne di nuove. Eppure, forse è proprio in questo vuoto fertile che si nasconde la possibilità di un nuovo inizio: una generazione che, pur ferita, continua a interrogarsi, a cercare senso e a costruire faticosamente nuovi modi di abitare il mondo. In bilico tra disincanto e impegno, i millennial potrebbero non avere tutte le risposte, ma sanno che, per ricominciare, l’importante è avere il coraggio di farsi delle domande, senza pretendere di avere risposte definitive.
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