Un compulsivo tentativo di spensieratezza

Marie Antoinette di Sofia Coppola

Con una palette che rende la fotografia indimenticabile, questo dramma in costume basato sul best-seller firmato Antonia Fraser, coniuga icone classiche e contemporanee, gettando i semi di un nuovo stile di biopic di cui negli anni a seguire tanti film (anche serie tv) – non sempre alla sua altezza – raccoglieranno i frutti.
Con Marie Antoinette finisce l’Ancien Régime, si chiude quindi una gestalt. Questo accade attraverso l’escalation e gli smisurati simboli della monarchia che la giovane regina incarna. Strappata dal kindergarten con l’obiettivo di un matrimonio combinato per sigillare i rapporti diplomatici Francia-Austria, Marie Antoinette tenterà di recuperare compulsivamente la spensieratezza e restaurarla con i mezzi propri della monarchia. Morta decapitata, “per scissione” testa-corpo, è la storia di una vita sospesa, a metà, un po’ come il suo stile moyenne, tra rococò e classicismo, anch’esso la rappresentazione di una fase di passaggio. Com’è una fase di passaggio l’adolescenza, quell’età di mezzo, in cui il dibattito tra Falso Sé e autenticità è così acceso da farci perdere… la testa. L’anacronismo di musica, linguaggio e abbigliamento contraddistingue il lavoro di Sofia Coppola. Queste incongruenze contribuiscono a trasmettere l’incastro bizzarro in cui la protagonista é sospesa: non una ragazza, ma neanche una donna; teenager o monarca assoluta? In un mondo di adulti – o forse dovremmo dire persone che giocano a fare gli adulti (giocando con la vita della comunità) all’occhio clinico Marie Antoinette appare come una paziente designata che inconsciamente agisce lo stile del suo ambiente.

Una lettura così impopolare di Marie Antoinette è possibile solo grazie allo sguardo benevolo di Sofia Coppola che ricrea il personaggio facendolo un po’ rinascere (e senza lasciarlo morire) includendo nella sua narrazione il peso delle ombre accecanti e sfrenate che hanno contraddistinto l’Ancien Régime, facendole indossare completamente alla protagonista, appena un’adolescente, “just a girl“.

Se proviamo a vederla da questo punto di vista, ha ragione Dobbins che su Vulture scrive: “È un film su quanto difficile, divertente e terrificante sia essere una teenager. È come se l’high school fosse trapiantata a Versailles. Che altro avrebbe dovuto fare [Marie Antoinette]? – suggerisce il film, il che è assurdo in termini di responsabilità politica, ma ha un gran senso se sei stata una ragazza al terzo anno di liceo” (trad. mia).


Il film è stato fischiato fortemente a Cannes per essere un prodotto basato sull’apparenza e senza sostanza storica; Sofia Coppola è stata definita una privilegiata quanto la regina: “nata in una posizione di enorme potere e privilegio”, “i reali francesi visti dai reali di Hollywood” (NY Times), “la Veruca Salt dei registi americani” (Slate) ecc.
Appurato che Coppola non è l’unica figlia d’arte nel mondo del cinema hollywoodiano (i Baldwin, i Douglas, i Curtis, i Fonda ecc.), è un peccato che la reazione respingente della critica non sia riuscita ad andare oltre a capelli cotonati, passamaneria, Manolo Blahnik e macarons, perdendosi la profondità di questa superficie.
Infatti, in questo estratto di gioventù persa in mondi ipertrofici e incastrata tra l’adolescenza e l’età adulta, Sofia Coppola mette in rilievo una forte polarizzazione: da una parte c’è silenzio, vuoto e isolamento e dall’altra frivolezza, opulenza e socialità. Questa dissociazione sospende un corpo che diventa quasi evanescente: dove – e quando – si trova Marie Antoinette? Stiamo assistendo a un ritratto del Settecento o alla fantasia di una millennial in fuga dalla solitudine? Che sta succedendo? “What ever happened?” – suonano gli Strokes nella colonna sonora.
Perdersi è possibile anche a Versailles. Per crescere e ritrovarci abbiamo bisogno di fidarci, di una guida, di una base, di confini e coerenza. Umanizzando un personaggio storico perlopiù insalvabile, Sofia Coppola accudisce come sempre con la macchina da presa un femminile appena nato, che finisce purtroppo divorato da un collettivo spietato (non i rivoluzionari, ma la stessa monarchia).

2 risposte a “Un compulsivo tentativo di spensieratezza”

  1. Onestamente è un film che ho apprezzato. Non solo a livello estetico ma anche a livello di storia. Coppola sarà figlia d’arte, ma onestamente è una regista capace e con un ottimo occhio e questa sua abilità l’ha sempre mostrata e continua a farlo. La rispetto molto come artista.

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    1. Anche a me piace molto. Ha una visione artistica di insieme che la caratterizza: sensibilità per i temi che sceglie, fotografia, musica…
      Come tu dici bene: ha occhio.

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