Rebel with a cause. Perché non sarò mai “uno bravo”

Negli ultimi anni la psicologia ha conosciuto una crescente popolarità, grazie anche all’accessibilità offerta dal digitale e dalla nascita di numerose app e servizi online. Tuttavia, questa visibilità porta con sé il rischio di banalizzare o strumentalizzare tematiche delicate per fini commerciali. Il rapporto tra professionisti della salute mentale e il pubblico necessita di una cura attenta, che valorizzi la dignità di chi soffre. Un episodio apparentemente banale ma emblematico mi ha aiutato a notare sempre meglio quanto sia importante preservare il decoro e la responsabilità nella comunicazione su temi psicologici.

Qualche giorno fa, inciampando in un post sponsorizzato di una delle tante app di counseling psicologico, mi sono imbattuta in una promessa audace: “come eliminare l’ansia in 1 minuto”. Poco dopo, il post rivela la verità, con un “pesce d’aprile: non puoi!”.
Questo uso del cinismo, mascherato da umorismo, mi ha lasciata perplessa. Ridurre una condizione seria a un gioco di parole, infatti, rischia di sminuire la sofferenza reale di molte persone.

Il marketing può essere efficace e innovativo, ma quando si parla di salute mentale deve sposarsi con rispetto e competenza. L’ansia non è un fastidio passeggero da eliminare con un click, ma un’esperienza complessa che merita ascolto e accompagnamento. L’ironia, se non condivisa e contestualizzata, rischia di diventare una barriera anziché un ponte verso l’aiuto.

In un momento storico in cui si fa tanto per promuovere una narrazione credibile della psicologia e per abbattere lo stigma, la glamourizzazione o la strumentalizzazione delle sofferenze è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno.


Come terapeuta e semi-nativa digitale, sono convinta che la psicologia debba essere accessibile a tutti, ma accessibile non significa approssimativa o superficiale. Anni fa, insieme ad alcuni colleghi, abbiamo creato uno dei primi centri di psicoterapia low-cost, con l’obiettivo di mettere la nostra professionalità a disposizione di coloro che non potevano accedere al servizio pubblico. Quell’esperienza mi ha insegnato quanto sia fondamentale preservare il valore e la dignità della professione in ogni messaggio che rivolgiamo all’utenza.

La rete pullula di contenuti psicologici, spesso semplicistici o dai toni canzonatori. Ma questo è proprio il motivo per cui chi cerca aiuto deve essere guidato verso scelte consapevoli, in un percorso di ricerca attiva e responsabile. Consultare l’Albo professionale degli psicologi, ad esempio, è un primo passo importante per orientarsi in modo sicuro e informato.

La responsabilità del professionista è anche quella di promuovere un’etica comunicativa che riconosca la sofferenza psichica e offra uno spazio di ascolto autentico. Il decoro professionale si manifesta nella chiarezza del messaggio, nel rispetto reciproco e nella capacità di avvicinare l’altro senza banalizzazioni o ironie fuori luogo.

Insomma, non sarò mai “uno bravo”, anche semplicemente per il fatto che non mi riconosco nella forma maschile-singolare, ma soprattutto perché non intendo abbassare la qualità del dialogo che la psicologia merita. Mettere al centro l’onestà nel rapporto con chi soffre è la vera differenza, anche in un mondo digitale che preferisce gli slogan facili.

3 risposte a “Rebel with a cause. Perché non sarò mai “uno bravo””

  1. Nell’ultimo periodo molte più persone chiedono aiuto alla psicologia e alla psichiatria. Probabilmente dovuto anche al Covid, ma soprattutto a delle tensioni sociali che vedo molto spesso nei giovani. Spero solo che questo problema venga visto seriamente da certe persone e non si finisca nel rende tutto qualcosa di ironico e cinico.

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    1. Grazie per aver ampliato questa riflessione. Condivido la stessa speranza e credo che le uniche persone in diritto di usare ironia siano le dirette interessate, se, come e con chi vogliono… 🎐

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  2. Concordo con te.
    C’è sicuramente bisogno di divulgare ed ampliare la cultura della psicologia.
    Più vado avanti (nel mio percorso da paziente di psicoterapia e nelle mie letture in questo ambito), più rimango allibito dal fatto che non si parli di certi argomenti così importanti e utili per la vita.

    Quindi da una parte sono contento di vedere la diffusione di questi contenuti sui vari social, ma mi rendo anche conto di quello che dici: bisogna farlo in un certo modo e questo “certo modo” non è sempre compatibile con le dinamiche della comunicazione social.

    Nel caso della psicologia non può esistere una comunicazione così diretta che vada bene per un ampio pubblico: ogni persona infatti è diversa e ogni persona è pronta ad accogliere/ricevere certi messaggi solo in momenti specifici della sua vita.

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