Cinema e psiche | Calmare le acque

L’acqua, con la sua natura mutevole e profonda, attraversa da sempre l’immaginario umano come simbolo di trasformazione, rinascita e purificazione. Cinema, arte e psicoterapia attingono a questa immagine universale, caricandola di significati che superano la materia: passaggio, crisi, possibilità. In particolare, nel linguaggio visivo del cinema e in quello simbolico della psicologia del profondo, l’acqua rappresenta un luogo intermedio tra ciò che si è e ciò che si può diventare.

Il contatto con l’acqua, sullo schermo, si manifesta in scene di immersione o attraversamento: vasche, piscine, fiumi, mari. Può concentrarsi in un singolo momento di svolta o ricorrere in più sequenze. In ogni caso, rimanda a un’esperienza liminale. È un simbolo perfetto per parlare di psiche: dalla superficie riflettente fino agli abissi dell’inconscio.

Da sempre associata a riti di passaggio, l’acqua incarna la tensione tra superficie e profondità, tra noto e ignoto. Citando Thoreau“In noi, la vita è come l’acqua nei fiumi.”

Un’acqua psicologica: Gestalt e simbolismo

Oltre alla lettura simbolica, la psicoterapia della Gestalt offre un’interpretazione originale. L’acqua rappresenta qui la confluenza: quella condizione in cui i confini tra sé e l’ambiente si assottigliano. In un’esperienza sana, questi confini sono dinamici: ci sentiamo al tempo stesso uniti e separati dal mondo. Nella confluenza prolungata, invece, si perde la differenziazione: si assorbe l’altro senza digerirlo, apprendendo per introiezione (Perls, 1947).

Ma entrare temporaneamente in questo sfondo indifferenziato — definito da Frielander “vuoto fertile” e da Perls “punto zero” — permette alla creatività di attivarsi. È qui che si formano nuove figure, nuove possibilità di contatto. Il rischio, però, è l’eccesso: restare troppo in questo “materno” fluido può impedire l’emergere di forme distinte, annullando l’esperienza invece di trasformarla. In alchimia, si parlerebbe di una solutio creativa (risoluzione) oppure distruttiva (dissoluzione).

Nel cinema, una scena di immersione in vasca può rappresentare proprio questa sospensione: un momento di rilassamento e rimescolamento, propedeutico a una nuova fase. Non si tratta di un’assenza di impulsi, ma di una totale apertura agli stimoli, utile a riavviare il ciclo dell’esperienza.

Una potente immagine di questa dinamica arriva da un aneddoto riportato da Dieter Baumann, nipote di Jung ( “La Stampa”, giugno ’99):

“Vicino al lago, mio nonno scavava il terreno per far confluire piccoli rivoli d’acqua in un unico canale. Un giorno, un affluente limpido si univa a uno torbido, creando disegni meravigliosi. Io glielo feci notare. Lui rispose: ‘Sì, questa è l’influenza’.

Lo sfondo liquido della terapia

In psicoterapia, lo sfondo è davvero come l’acqua: riflettente, oscuro, abitato da forme visibili e invisibili. La sicurezza relazionale permette al paziente di sostare in questo spazio e contattare ciò che normalmente resta escluso: emozioni, ricordi, potenzialità.

Qui, l’acqua simboleggia non solo l’inconscio, ma anche la qualità della relazione terapeutica: “una cosa che fluisce dentro un’altra”, come dice Jung. La vasca alchemica, in questo senso, rappresenta la confluenza sufficientemente sicura in cui avviene la trasformazione.

Il terapeuta, per far sì che questa confluenza non diventi confusione, deve poter “entrare” dove si trova l’altro, ma restando parzialmente fuori: mantenendo un confine. Lo ricorda anche Philippson del Manchester Gestalt Center, interrogandosi sui rischi della liquidità nella relazione terapeutica.

L’acqua nell’arte e nella musica

Il simbolismo dell’acqua attraversa anche musica e arti visive.
Nella pittura: i bagni metafisici di De Chirico, la piscina illusoria di Erlich (Swimming Pool, 1999), l’opera acquatica di Hockney.
Nella musica: Wade in the Water, spiritual in cui l’acqua è via di fuga; Big River di Johnny Cash, dove le lacrime alimentano il fiume; Peter Gabriel che canta il bisogno di nuotare; Al Green che invita a lavarsi l’anima nel fiume.

Le immagini acquatiche tornano anche nella poesia: Crossing the Water di Sylvia Plath, The Pool di H.D., e nel cinema contemporaneo: Una sirena a Manhattan, KubrickHitchcock. “Se vogliamo che il mondo vada avanti, dobbiamo tenerci per mano” (NOSTALGHIA, Tarkovsky).

Riemergere trasformati

L’acqua — nelle sue forme simboliche, artistiche e terapeutiche — ci invita a sostare nella soglia, nel possibile, nel non ancora definito. È nel flusso, nell’influenza, nell’immersione temporanea che si apre lo spazio della trasformazione. Come nella confluenza tra acqua limpida e torbida, anche in terapia si tratta di mescolarsi senza perdersi.

Cinema, arte e psicologia del profondo ci mostrano che immergersi non significa perdersi, ma darsi il permesso di attraversare. Di lasciarsi influenzare per poi riemergere — trasformati, forse più completi.

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